Il mondo è piatto. Riflessioni dal sellino

È incredibile che grazie ad un così semplice artefatto, una bici, si possa pedalare 500 chilometri in 4 giorni fino alla conferenza EGOS di Tallinn e lungo il percorso visitare colleghi, vedere nuove città e paesi e interagire con la popolazione locale (a volte a gesti). È così semplice! So bene che ciclisti più in gamba di me sarebbero capaci di coprire la stessa distanza in due giorni. Ne ho incontrato alcuni che venivano dalla Norvegia o dalla Gran Bretagna essendo passati per la Bielorussia e portandosi dietro la tenda (mentre io pigramente dormivo in hotel o bungalow).  Ma qui parlo solo di persone normali, solo moderatamente sportive com me. Ognuno (quasi) ce la può fare, giorno più, giorno meno.

Viaggiare in bici mi ha reso consapevole di far parte inestricabilmente della natura. Sono sceso dal piedistallo tecnologico e razionalista, anche se in sella ad un mezzo che solo una civiltà industriale può produrre. La motorizzazione distrugge questa profonda intuizione di comunione. In un’automobile, o anche in un treno, il mutare del paesaggio appare come lo zapping in televisione o perdersi surfando sui social. Sulla bici, o a piedi, si diventa parte del paesaggio, i suoi profumi e odori, la temperatura dell’aria, i colori, il vento. Si diventa paesaggio. Quando ho concepito questo sabbatico in bicicletta (#sabbicycle) pensavo ad una metafora, non ad una concreta proposta di soluzione dei pressanti problemi del cambiamento climatico che favorisce le guerre, le migrazioni e che rischia di riportarci al Medioevo (se ci va bene) o all’età della pietra. Ora però, giunto alla fine del percorso, mi appare come un’esperienza estetica. Provaci anche tu, fai un viaggio multimodale treno e bici la prossima volta che parti per lavoro (conferenza, congresso, …) e hai del tempo da impiegare. Si può comprendere qualcosa di personale e universale.

Personalmente ho compreso quanto brutti siano i nostri ambienti urbanoidi, popolati di ibridi umani a quattro ruote. Ci siamo abituati, ma quando emergevo da una giornata di bici nelle foreste, lungo le coste o campi ed entravo nel traffico cittadino sentivo pietà per tutte quelle persone sedute al volante con gli occhi fissi sulla lamiera che li precede. Costrette a quello stato dall’organizzazione delle nostre società. Occorrerebbe tenere le automobili fuori dai centri abitati, anche quelle elettriche! Sono brutte uguali.

La bellezza che si sperimenta lontani dalla bruttezza può generare altra bellezza. Si è portati a voler migliorare ciò che ci circonda, l’ambiente come le relazioni. Leggendo a fine giornata i manoscritti della conferenza verso cui stavo pedalando, mi scoprivo a fare commenti più costruttivi e generosi e continuavo a pensare al significato di quello che gli autori volevano dire anche sulla sella. Percepivo vivamente che se l’accademia vuole sopravvivere come spazio di libero pensiero critico al servizio della società dobbiamo resistere alle pressioni di farne prevalentemente un gioco competitivo di pubblicazioni su riviste internazionali quotate. Il narcisismo stimolato dalla prospettiva di conquistare “trofei” accademici nella forma di pubblicazione classificate A+, Star, ecc., è un forte motivatore individuale ma ha forti rischi personali (delusione e burnout) e sociali.

Nelle pause del viaggio mi sono anche cimentato in semplici forme di meditazione. Molto potenti nel recuperare energia e motivazione per il resto del giorno. Mi aiutavano  a riconnettermi con la mia comunità.  Non solo essere parte della natura, ma anche della natura umana che è sociale. Cosa siamo senza gli altri? Spesso, durante o dopo le meditazioni, anche i miei genitori venivano a trovare le mie emozioni. Mia madre, che mi ha supportato commentando i miei post e con messaggi vocali. Mio padre, che non è più, ma che mi abbracciava sulla bici con braccia di vento. Mia moglie e i ragazzi, e gli amici e i colleghi. Cos’altro abbiamo?

Abbiamo anche un solo pianeta che, come va dicendo Bruno Latour, non è un bolide lanciato nell’universo, ma, essenzialmente, come pianeta vivente, è giusto una sottile superficie di vite interdipendenti connessa con il sole. Una leggera superficie che dobbiamo proteggere vivendola sostenibilmente se vogliamo che le nostre comunità prosperino. Questa è sostanzialmente l’intuizione che mi ha condotto a intraprendere questo #sabbicycle, ora giunto alla fine.

Ma forse, è solo iniziato.

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